c’era una volta una festa

Voi che mi avete sempre visto così, vestito di nero, con la giacca lunga un po’ fuori di moda e le scarpe comode forse avete pensato che non ho mai conosciuto il piacere della festa.
Non di una delle tante feste per le ricorrenze religiose o per gli onomastici e i genetliaci. No, una festa grande, da parteciparci con tutti i sensi, con mente e corpo svegli. Una festa d ricordare per tutta la vita, da raccontare ai nipoti.
Ne è passato del tempo, era il secolo  scorso, ma non quello che si è appena concluso, l’altro, quello che ci ha dato il Risorgimento, la Capitale con il Papa ribelle, le prime biciclette e il petrolio per l’illuminazione.
Vivevo nella mia casa sopra la collina, dove finisce la pianura dove scorre il Po ed era bello veder crescere le viti e veder cambiare il colore delle foglie così come era bello spostare le pietre del torrente che servivano a costruire i muri a secco dei terrazzamenti.
Arrivavano di tanto in tanto le notizie sui  moti dei patrioti che volevano fare l’Europa. Non era ancora stata fatta l’Italia e già c’era che guardava lontano e parlava di liberare i popoli dalla tirannia del re, del papa, del principe. Si stampavano fogli volanti, forse era troppo chiamarli giornali, con articoli lunghi che facevano sognare. Erano scritti da gente con grande cultura, avevano girato il mondo, non solo l’Europa, e avevano contatti in Ungheria, in Francia, in Inghilterra, ma anche in Prussia e in Russia.
Una sera, all’inizio dell’anno che chiude la prima metà del secolo, passa da me un medico che conoscevo per averci portato una volta mio padre e perché veniva una volta all’anno a comperare il nostro vinello rosso e mi dice che parte e che vorrebbe che l’accompagnassi. Vedo che si comporta in modo strano e che ha un vestito da viaggio con un bagaglio essenziale ma abbastanza pesante. Mi dice che parte per aiutare la Repubblica romana. Finalmente Roma viene liberata dal despota e non basteranno le truppe di mezza Europa ad aver ragione della popolazione che invoca libertà. Dalla nostra terra stanno partendo in pochi ma laggiù ci sono brigate internazionali comandate da un grande generale che ha combattuto in America latina per la liberazione di quelle genti.
I miei dormono di sopra, noi siamo davanti al camino dove brucia una grossa radice di quel ciliegio che mi è morto l’anno avanti.
E’ stano che mi venga in mente questa cosa, in campagna anche i pezzi di legno hanno una storia. Li hai visti crescere come pianta, li hai visti declinare ed adesso stai assaporando quel particolare tepore che viene dal  camino.
Decido di partire per Roma, so che è una città grande e che è lontana. Una città che è sempre stata un simbolo forse per tutti i popoli della terra. Attraversati gli Appennini non deve essere troppo difficile arrivarci.
Come sia andata quella volta lo sapete.
E’ stata una grande festa per alcuni giorni. Si combattevano soprattutto i francesi, ma era difficile difendere una città fortificata solo in parte, con le ville sparse su tante colline, con le antiche ville romane trasformate in case per principi e in ripari per viandanti e alberi secolari ovunque.
La sera, al calar del sole, le scaramucce di guerra terminavano e ci si riuniva per discutere di come era andata la giornata e come si doveva governare la repubblica.
In mezzo a tante lingue sentivo la mia voce non più strana delle altre e il mio pensiero apprezzato come quello degli altri che combattevano ogni giorno.
Ogni sera accanto ai fuochi era come una festa. Era una festa. Il tempo rimaneva sospesa, l’aria portava dal fiume gli odori del fieno tagliato, delle merci che arrivavano dal mare verso Ripa. Qualcuno suonava melodie tristi e bellissime che parlavano di steppe, di fiumi, di donne e di ricordi felici.  
Il mio amico medico, ormai dal viaggio eravamo diventati grandi amici, purtroppo non ce l’ha fatta, e con lui tanti, tutti quelli che non sono riusciti a uscire verso la campagna e verso il mare.
Io mi sono rifugiato presso alcuni pescatori, sulle rive del fiume, vestito come loro, non ho mai dato occasione di uscire allo scoperto sino a quando anche da quella casa non è passato il progresso. La luce elettrica, il telefono, i pantaloni di panno genovese. E fino a che non mi hanno chiamato per fare il mio dovere di cittadino democratico.
Allora ho deciso di ricordare la nostra festa. Quella festa.

Così mi sono vestito di nero.

                             Franco Frigo

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